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Tula, il nomignolo di Gertrudis, ha un duplice potere: esprime l'affetto innocente e devoto che la sorella e i nipoti hanno per lei ma può anche accendere negli uomini una timorosa e impacciata sensualità. Ma la zia Tula rifiuta il matrimonio, rifiuta i pretendenti, indirizza il desiderio maschile altrove, secondo i propri disegni. "Meglio sposarsi che bruciare". Tula non brucia, condanna però a bruciare. Rinuncia al matrimonio per sacrificarsi, da vergine madre, ai figli di sua sorella rosa, nel perseguimento di un ideale estremo di castità che ha la sopravvivenza del focolare domestico come scopo ultimo della vita. Erede di don Chisciotte e di santa Teresa d'Avila - come spiega l'autore nel prologo - la zia Tula non è semplicemente il personaggio di un romanzo, ma la personificazione di un paradosso, del dogma profondamente cristiano della maternità vergine. Attraverso una prosa incalzante intessuta quasi esclusivamente da dialoghi, nella Zia Tula, ora riproposta in una nuova edizione con il testo spagnolo a fronte, Unamuno scava "in certe catacombe dell'anima, dove alla maggior parte dei mortali non piace discendere".